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La crisi dei cattolici progressisti

 
 
Questi mesi di dibattito sulla legge Cirinnà sono stati un test importante per comprendere il mondo
cattolico e i suoi assetti interni. 
Quella che segue è un’analisi dei risultati del test. 
Primo risultato:
una parte molto consistente del cattolicesimo italiano non è ancora uscita dall’era Ruini, quella dei
valori non negoziabili, dell’intervento diretto dei vescovi in politica, del desiderio di fare dell’Italia
la culla della resistenza europea alla modernità, il paese ponte con quei sistemi politici africani che
negano i diritti, che non riconoscono la diversità, che restano legati in modo feroce e ossessivo alle
regole della tradizione.
Capitanato dal presidente della CEI Bagnasco, al quale si sono aggregati molti altri vescovi (tra cui
diversi nominati da Bergoglio), questo gruppo può contare sulle truppe cammellate di alcuni tra i
più forti e meglio organizzati movimenti ecclesiali italiani: primi tra tutti, il Cammino
Neocatecumenale e il Rinnovamento nello Spirito, formazioni in grado di mobilitare decine di
migliaia di aderenti e di farli marciare compatti verso la chiassosa occupazione pacifica di Roma.
 
Questa ampia coalizione di forze cattoreazionarie ha beneficiato non poco, in questa occasione,
della neutralità del Papa: Francesco infatti non li ha, è vero, esplicitamente benedetti, ma nemmeno
li ha sconfessati. Al contrario, due giorni prima del Family Day, si è lamentato della troppo diffusa
“confusione” tra “la famiglia voluta da Dio e ogni altro tipo di unione”.
 
Quelle parole, poi ribadite nella sostanza in occasioni immediatamente successive, sono sembrate a
molti, inclusi alcuni vescovi che si sono precipitati a sostenere il Family day solo dopo averle udite,
un assist indiretto alla manifestazione romana. Assist debole e generico, perché per il Papa le
priorità sono certamente altre, ma pur sempre assist e non certo condanna.
 
Secondo risultato: 
mentre i cattoreazionari hanno fatto anche questa volta, come già avvenne nel
recente passato, un gran rumore dimostrandosi vivi e molto vitali, le voci cattoliche esplicitamente
dissonanti da quelle conservatrici sono state pochissime. Dentro la Cei, abbiamo udito solo quella
leggermente distonica dell’isolatissimo cardinal Galantino, che sarà anche gradito al Papa come si
dice, ma che in compenso non sembra avere molti amici, sostenitori o fiancheggiatori tra i suoi
colleghi vescovi italiani, in larghissima misura più prossimi al cardinal Bagnasco che a lui. Nella
società civile cattolica, contro i cattoreazionari e la loro visione delle unioni civili, si sono levate le
poche voci solitarie di qualche prete coraggioso come don Farinella o quelle di organizzazioni
praticamente prive di seguito popolare come “Noi siamo Chiesa”. Il cattoprogressismo militante
risente della crisi profonda di tutta la sinistra. Gli Anni Settanta sono lontani e nei quarant’anni di
lungo inverno woytjliano-ratzingeriano le forze si sono disperse, gli animi scoraggiati e le truppe
organizzate ridotte al lumicino.
 
Hanno chiuso una ad una ad una le riviste migliori, sono scomparsi i leader storici e molti militanti
hanno semplicemente abbandonato il campo, lasciato la Chiesa.
 
Terzo risultato: il resto del cattolicesimo italiano, cioè la grande maggioranza dei fedeli e dei loro
pastori è rimasta in religioso silenzio. Numerose le cause dell’afonia: da un lato, certamente un
certo grado di dispersione e di frammentazione particolaristica, una mancanza assoluta di
organizzazione e di coordinamento. E poi, in positivo, la fiducia nel dibattito parlamentare e nel
confronto civile, non urlato, tra le diverse posizioni politiche, ma anche un certo disorientamento
culturale e una spiccata difficoltà a sentire come proprie le battaglie per i diritti di libertà, per il
progresso civile.
 
Infine, forse anche il desiderio di dedicarsi interamente alla propria missione religiosa, lasciando da
parte la politica, abbandonando la scena pubblica. Niente di male se non fosse che quest’ultima è
rumorosamente occupata da gruppi di crociati che innalzano i vessilli comuni a tutto il
cattolicesimo, finendo per appropriarsene del tutto presentandosi come i suoi unici legittimi
rappresentanti. E rendendo forse anche più difficile ogni ipotesi di cambiamento interno della
Chiesa italiana. È legittimo chiedersi, giunti a questo punto, quali aspirazioni riformatrici possa
nutrire un’organizzazione nella quale la maggioranza più attiva e mobilitata è contraria ad ogni
cambiamento sociale ed anzi auspica un salto a piedi uniti nel passato remoto. Proprio pochine
direi. E il Papa venuto dalla fine del mondo da solo non basta.
 
 
di Marco Marzano
rassegna stampa - il Fatto Quotidiano  del 3 marzo 2016


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