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il confessionale
Muore Fernando Cardenal, il gesuita sandinista

 Una moltitudine di persone ha detto addio, in Nicaragua, a Fernando Cardenal. Figura storica del
sandinismo, ex ministro di Educazione e teologo della Liberazione, il gesuita è scomparso sabato
all’età di 82 anni in un ospedale di Managua. Meno noto del fratello e poeta Ernesto (classe 1925),
Cardenal fu uno dei sacerdoti sospeso a divinis dal papa Giovanni Paolo II nel 1984: per aver
imbracciato il fucile contro il dittatore Anastasio Somoza, cacciato dai sandinisti guidati da Daniel
Ortega nel 1979.
 
Nel 2014, papa Bergoglio ha annullato la sospensione del gesuita, quella del fratello Ernesto e di
Miguel d’Escoto. Il suo nome resta legato alla grande campagna di alfabetizzazione messa in campo
dal governo sandinista subito dopo la rivoluzione. Un programma che ha ridotto la percentuale di
analfabeti dal 50,35% al 12,96%. Tra il ’79 e il 1990, il lavoro di Cardenal, rivolto a studenti,
maestri e donne delle classi popolari, ha coinvolto oltre 100.000 volontari ed è stato riconosciuto
dall’Unesco nel 1981. In una delle ultime interviste, Cardenal ha ricordato il sentimento di «paura,
allegria e soddisfazione» provato quando il Fronte sandinista di liberazione nazionale gli ha
proposto di assumere quell’incarico, dopo soli dieci giorni dalla vittoria.
 
Il gesuita è stato anche a capo di Fe y Alegria, un’organizzazione di educazione popolare e di
promozione sociale presente in Nicaragua con 22 centri educativi. Un’attività che Cardenal ha
mantenuto anche durante gli anni bui seguiti al ritorno delle destre. Nel 1990, il voto di una
popolazione stremata da anni di guerra civile e dall’embargo decretato dagli Usa nel 1985, segnò la
sconfitta di Daniel Ortega in favore di Violeta Chamorro e del suo nuovo partito, l’Union Nacional
Opositora, foraggiato dagli Stati uniti.
 
La voce di Fernando Cardenal non venne mai meno durante l’ultima rivoluzione del secolo scorso e
sostenne le campagne sandiniste nei momenti più duri dell’attacco nordamericano, deciso a
impedire che l’esempio vincente del Nicaragua si estendesse al resto del Centroamerica, in lotta
contro i dittatori voluti da Washington. Nell’85, la Corte internazionale di giustizia condannò gli
attentati ai depositi di petrolio nel porto di Corinto, compiuti dalla Cia. Un pronunciamento che non
arrestò l’accordo tra gli Usa e l’Honduras, realizzato alla fine di quell’anno, per installare altri basi
militari nordamericane, né quelle che vennero poi imposte al Costa Rica e al Salvador. Neanche
l’evidenza dello scandalo Iran-Contras, emerso tra l’85 e l’86, impedì all’amministrazione Usa di
approvare il finanziamento alle bande paramilitari dei Contras per oltre 100 milioni di dollari.
Washington ignorò anche la sentenza emessa nel 1987 dalla Corte Internazionale che riconobbe la
richiesta di risarcimento del Nicaragua per gli attacchi subiti dagli Usa. E venne rinnovato il
finanziamento ai Contras.
 
Dopo la sconfitta del sandinismo, il paese è sprofondato nell’abisso delle controriforme e del
neoliberismo, da cui sta lentamente riemergendo con il nuovo governo di Ortega, che ha scommesso
sui paesi dell’Alba e sul socialismo del XXI secolo: un ritorno nel ricordo di Augusto César
Sandino, che agì nel solco di Simon Bolivar e capeggiò la riscossa contro gli Usa, e venne fucilato il
21 febbraio del 1936. Cardenal ha mantenuto posizioni avanzate su aborto e omosessualità, ma non
ha risparmiato critiche a Ortega, rimanendo vicino alle posizioni socialdemocratiche del Movimento
per il rinnovamento sandinista.
 
di Geraldina Colotti
rassegna stampa - il manifesto -  del 23 febbraio 2016
 


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