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sette giorni
Gli scritti giovanili di Aldo Moro e la vanità della forza in politica di Filippo La Porta

 Gli scritti giovanili di Aldo Moro e la vanità della forza in politica
di Filippo La Porta
-rassegna stampa- Il Messaggero del 30 gennaio 2017
 
Aldo Moro, che per la biografia tragica e la sua indocilità a ogni rigida appartenenza potrebbe
essere accostato a Pasolini, si rivela una delle figure centrali della nostra storia civile. Come tra
l'altro dimostrano questi articoli giovanili apparsi tra il 1943 e il 1945 sulla rivista barese La
Rassegna, primo foglio indipendente dell'Italia liberata, fondato da cattolici liberali (50.000 copie
vendute): La vanità della forza, Eurilink (p.438, euro 18). Cura, note e prefazione di Lucio
D'Ubaldo, che commenta puntualmente alcuni passaggi delicati di storia politica e delle idee e che
aderisce in modo simpatetico alla vicenda di Moro (spiegandone anche psicologicamente tic
linguistici e apparenti incongruenze). Orizzonte comune è la individuazione di un centro come
unico punto di incontro tra destra e sinistra (lungo un asse di evoluzione da destra verso sinistra: le
celebri convergenze parallele, benché la formula non sia di Moro), come luogo dell'opinione
pubblica media che onestamente desidera ed attende svolgimenti umani e più buoni di vita. Una
proposta politica fondata su una antropologia cristiana, aliena da imprese spettacolari. Forse
l'ossessione del centrismo può avere a volte effetti omologanti, ma certo quella vita più buona,
pacifica, decorosa, è quanto si contrappone qui alla retorica eccitata e alle smanie palingenetiche
delle ideologie totalitarie (e proprio nel momento in cui il Vaticano sconfessò ogni partito della
sinistra cristiana).
A riprova di una formazione intellettuale eterogenea, sottratta a ogni schematismo, colpiscono nel
libro certe tangenze con l'azionismo (la figura decisiva di Mario Cifarelli, vicino al fratello) e con la
filosofia politica di Carlo Rosselli (il tentativo ostinato di coniugare libertà e giustizia, la difesa
della persona: ricordo en passant che dentro la Costituente Moro e Dossetti proposero invano di
inserire il diritto di resistenza), il rifiuto di un antifascismo pigramente istituzionale (e simmetrico al
fascismo, come sapeva Noventa), la citazione di Alberto Savinio sulla immortalità dei meridionali
(che esprime una diversa idea della felicità, del destino, della vita stessa, tra scarso senso civico e
però superiore saggezza) e poi quell'oscillare anche teologico tra pessimismo agostiniano sulla
natura umana peccatrice e moderato ottimismo tomista nella possibilità di cooperare con il Bene.
Forte è in Moro la consapevolezza della crisi radicale di civiltà nelle macerie belliche, della fine
dell'Europa, che va ripensata dalle sue stesse radici. Proprio nel 1943 Simone Weil scriveva la sua
carta dei doveri l'Enracinement - per rifondare la civiltà, e partiva da una riflessione simile, proprio
sulla forza, citando Tucidide sugli ateniesi che di fronte agli abitanti di Melo supplicanti (per essere
risparmiati) risposero seccamente: Dovunque i più forti impongono il loro potere, e i deboli si
adattano, questa legge non l'abbiamo istituita noi, ci limitiamo ad applicarla. Eppure Moro sa che la
forza da sola non basta, non assicura vittorie reali né durature. Vanità della forza significa l'idea di
una forza che non prescinda mai dalla morale, dalla persuasione e razionalità. Significa subordinare
la politica a qualcosa di più grande.
Filippo La Porta


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