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il pulpito
Dove sono i cattolici progressisti di Alberto Melloni

 Dove sono i cattolici progressisti

di Alberto Melloni

RASSEGNA STAMPA - la Repubblica del 28 febbraio 2017

 

Come in un film in costume, rivediamo sul set della vicenda politica nazionale tutti gli errori, di

tutte le sinistre, di tutta la storia d’Italia.

Libera dalle costrizioni internazionali che ne disciplinavano gli umori, una fetta della sinistra

che viene dal Pci riassapora le emozioni divisive, e come in una famosa canzone guida

 “a fari spenti nella notte” del secolo XXI.

 

Priva da un quarto di secolo della rassicurante sponda democristiana,

la sinistra cattolico-democratica sembra invece  sparita.

Una Atlantide sepolta da risentimenti post-comunisti che datano agli anni della Fgci,

sommersa dalla frenesia dei renziani, molti dei quali vengono dal cattolicesimo ma che hanno

ridotto la loro cultura a una certificazione etica individuale.

 

Se questa implosione del cattolicesimo “progressista” fosse una sanzione comminata alla chiesa,

bisognerebbe riconoscere che è stata mite. A dieci anni dal Family day, nel quale sfilarono tutti

(movimenti ecclesiali, ecclesiastici ed ecclesial-politici, leader e aspiranti leader, fra cui Renzi

stesso), inclusi quelli che poi hanno maturato pensosi distanziamenti e bizzose autonomie, vien

infatti da dire che non c’era altro destino per quel continente, che chiamava “progetto culturale” un

disegno che ha ammutolito i vescovi e premiato il conformismo politico degli altri. Sicché, quando i

vescovi oggi rimproverano questa o quella scelta di Renzi, dovrebbero sempre chiedersi e ricordarsi

dov’erano e cosa dicevano quando si ponevano le basi di quegli errori che rendono il Paese oggi

così vulnerabile.

 

Il problema è che quel che è un castigo per la chiesa, costituisce un serio danno per un Paese i cui

errori hanno sempre riflessi europei. La simmetrica e antecedente scomparsa del cattolicesimo “di

destra” non ha infatti avuto conseguenze gravi: ridotto a portare il moralismo come un parrucchino,

l’integralismo cattolico insediato a destra non ha saputo né spargere mitezza né convincere i

moderati, e s’è ridotto a mestare fangosità da usare contro ogni nemico e perfino contro il papa

(ignaro del detto “chi mangia papa crepa”).

 

La scomparsa del cattolicesimo “di sinistra”, invece, rompe il canale che talora ha messo il Paese in

comunicazione con riserve di intelligenza che spesso gli sono state indispensabili: l’intelligenza

giuridica, che da Leopoldo Elia arriva fino a Sergio Mattarella; l’intelligenza economica di Nino

Andreatta, quella sociale di Giulio Pastore; l’intelligenza storica che andava da Pietro Scoppola a

Pino Alberigo, quella martiriale dei Livatino, quella europeista che giunge a Romano Prodi e Mario

Draghi.

 

Certo, di riserve ne sono rimaste alcune nelle istituzioni e fuori da esse. Ma senza un canale che le

riporti in superficie, senza una superficie, esse non potranno essere usate, se non per qualche

furbizia aggregativa (ci provarono a Todi anni fa, senza esito se non qualche posto) o per qualche

operazione elettorale, quando gli arredatori delle liste si mettono a caccia di un campione, una

scienziata, un gay, un disabile, un nero, una musulmana

e — perché no? — un cattolico.

 

In un Paese sul cui suolo sociale c’è abbondante benzina, nella cui mentalità il vetriolo politico è

usato come fosse un disinfettante morale, dove la giustizia non ha più come icona le bilance ma le

iene, ricostruire quel canale richiederà uno sforzo enorme, un tempo enorme e un atteggiamento

penitente. Più si ritarda l’inizio, più lento passerà il ventennio che serve a rifare le competenze, a

formare le coscienze.

 

 

 



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