mobbing

Aprile 23, 2009 by admin
Filed under: Senza categoria, mobbing 
 Mobbing

Questo documento è il frutto di una mia elaborazione realizzata con l’utilizzo di quanto di meglio ho potuto trovare sul web relativamente a questa materia.

 Partecipiamo: home page

Indice

Definizione

 Come battere il mobbing?

COS’E’ IL MOBBING?

Soggetti del Mobbing

Come si  esercita?

Primo soggetto: la persona

In quali forme si manifesta?

Secondo soggetto il sindacato

Quali sono le finalità?

Raccogliere informazioni

Quali sono le conseguenze del mobbing?

Denunciare il mobbing

Quali sono i sintomi del mobbing sulla vittima?

Come deve operare il sindacato?

Come ci si può difendere dal mobbing? 

Le vie legali

 Allontanarsi dal posto di lavoro: è utile?

Glossario

 

Definizione

La parola deriva dal verbo inglese “To mob”

 (assalire con violenza)

 

Cos’è il Mobbing?

 

Il mobbing è una violenza psicologica tipica del posto di lavoro.

 

Come si esercita?

 

Con attacchi ripetuti da parte dei colleghi o dei datori di lavoro.

 

In quali forme si manifesta?

 

Si può esercitare con:

o    La semplice emarginazione;

o    la diffusione di maldicenze;

o    continue critiche;

o    persecuzione sistematica;

o    Assegnazione di compiti dequalificanti;

o    Compromissione dell’immagine sociale nei confronti di clienti e superiori;

o    nei casi più gravi, anche sabotaggio del lavoro ed azioni illegali.

 

Quali sono le finalità?

 

Lo scopo del Mobbing è di eliminare una persona divenuta in qualche modo “scomoda”, distruggendola psicologicamente e socialmente in modo da provocarne il licenziamento o da indurla alle dimissioni.

 

Quali sono le conseguenze del mobbing?

 

§          causa problemi psicologici alla vittima, che accusa disturbi psicosomatici e depressione;

§          ma anche danneggia sensibilmente l’azienda stessa, che nota un calo significativo della produttività nei reparti in cui qualcuno è mobbizzato dai colleghi.

§          il mobbing può portare fino all’invalidità psicologica, e quindi si può parlare anche di malattie professionali o di infortuni sul lavoro.

 

Quali sono i sintomi del mobbing sulla vittima?

 

 

Il mobbing è causa di importanti effetti sulla salute della persona presa di mira, in quanto esercitato a lungo ed in modo continuativo, queste conseguenze sono soprattutto a carico del benessere psico-fisico.

Come fonte di stress, il mobbing, costituisce un fattore lesivo sia per la psiche che per il corpo, producendo alterazioni funzionali a vari livelli, diversi da soggetto a soggetto. I lavoratori sottoposti a violenza psicologica presentano un alto rischio di sviluppare disturbi d’ansia e dell’umore, con alterazione del sonno e dei livelli di risposta cognitiva.

Unitamente a questi, si possono aggiungere effetti di tipo economico e relazionale.

 

Disturbi d’ansia

 

L’ansia è uno stato di allarme, di marcata inquietudine e attesa affannosa di un pericolo imminente e indefinibile. Tale stato si associa a sentimenti di incertezza e a vissuti di impotenza. A differenza della paura che è una risposta emozionale a condizioni di pericolo reale esterno ben riconoscibile, l’ansia è una paura senza oggetto, compare senza che vi sia una reale minaccia riconoscibile dal soggetto. Essa diviene patologica quando l’individuo non riesce più a dare delle risposte funzionali ai problemi lavorativi e ne risente in misura tale da non poter raggiungere scopi realistici e comuni soddisfazioni.

Lo stato d’ansia si può esprimere acutamente sotto forma di crisi oppure in modo più persistente e continuo.

Nell’ambito lavorativo si possono riscontrare principalmente due disturbi d’ansia:

  

 

Disturbo d’attacco di panico (DAP):

 

si manifesta con una crisi d’ansia acuta spontanea ed inaspettata dalla durata molto breve. Durante questo lasso di tempo il soggetto vive un’esperienza intensa e traumatica di paura o disagio accompagnata da un senso di pericolo o di catastrofe imminente con conseguenti comportamenti atti ad evitare le situazioni in cui il soggetto ha sperimentato per la prima volta la crisi; oppure di rassicurazione. L’attacco insorge inaspettatamente, senza preavviso, raggiunge l’apice rapidamente: di solito bastano 10 minuti o meno.

Questo disturbo è caratterizzato da una serie di sintomi quali: dispnea, palpitazioni, nausea, dolore al petto, sensazioni di soffocamento e asfissia; capogiri, sudorazione e tremori; intensa apprensione, terrore.

Durante l’attacco gli individui riferiscono di aver pensato di essere in procinto di morire, di poter perdere il controllo, di avere un infarto del miocardio o un ictus, o infine di impazzire.
Nei casi di mobbing possono verificarsi due tipi specifici di attacchi di panico:

attacchi di panico causati dalla situazione (provocati): quando sono fortemente associati a dei fattori scatenanti situazionali.


attacchi di panico sensibili alla situazione: quando fra l’esposizione alla situazione e l’attacco esiste sì una relazione ma meno forte.

 

Disturbo post traumatico da stress (PTSD):

 

risposta estrema ad un fattore altamente stressogeno, risposta che comprende un aumento notevole del livello d’ansia, la volontà di evitare gli stimoli associati al trauma e una perdita di efficienza emozionale.
I sintomi di questo disturbo sono raggruppati in tre categorie principali, la diagnosi richiede che i sintomi appartenenti a ciascuna di queste categorie persistano per più di un mese.

 

1.L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente dall’individuo attraverso: ricordi spiacevoli e intrusivi dell’evento, comprendenti immagini, pensieri, percezioni, incubi notturni, flashback.
 

2. L’ atto di evitare gli stimoli associati con l’evento e attenuazione della reattività generale. La persona cerca di evitare di pensare al trauma o di essere esposta a stimoli che possano riportarglielo alla mente; a volte può essere incapace di ricordare aspetti importanti dell’evento traumatico. La perdita di efficienza della reattività generale si manifesta nel diminuito interesse per gli altri, in un senso di distacco e di estraneità, e nell’incapacità di provare emozioni positive.

Questo disturbo è caratterizzato quindi, da fluttuazione: la persona passa attraverso fasi alterne di perdita di efficienza della reattività e di riaffioramento dell’esperienza traumatica.

3. Sintomi di aumentata attivazione fisiologica. Questi sintomi comprendono la difficoltà di addormentarsi o mantenere il sonno, la difficoltà a concentrarsi, l’ipervigilanza ed esagerate risposte di allarme.


La diagnosi di disturbo post traumatico da stress, sta iniziando ad essere accettata, sia in sede psichiatrica che di medicina del lavoro e di medicina legale, nei paesi dell’Europa del Nord e Centrale, come conseguenza di violenza psicologica sul posto di lavoro, mobbing. 

 

 

 

Come ci si può difendere dal mobbing?

 

§        Il primo passo è raggiungere la consapevolezza della propria situazione, cioè comprendere che i sentimenti che si sta provando in questo momento: solitudine, inadeguatezza, rabbia ecc., sono causati dal mobbing;

§        quindi capire che sarà necessario mettersi in gioco in prima persona e che gli aiuti esterni (medici, psicologi, avvocati, sindacato) potranno essere dei validi supporti, ma non potranno sostituirsi all’azione della vittima.

§        È necessario cercare l’appoggio ed il conforto negli affetti vicini, reagire agli attacchi del mobber e dei complici in modo calmo, ma chiaro e deciso a far notare all’aggressore e ai testimoni che la via intrapresa si identifica con mobbing o molestia morale.

 

 

Allontanarsi dal posto di lavoro è utile?

 

 

Dimissioni: Quando lo stress e la tensione psicologica diventano inaccettabili si è tentati dall’abbandonare il lavoro per lasciarsi alle spalle una situazione insostenibile.

Si può ricorrere ad un allontanamento provvisorio oppure definitivo, ma in entrambi i casi le scelte vanno valutate attentamente.
Nonostante tutto moltissimi bersagli di violenza psicologica decidono di allontanarsi definitivamente dall’ambiente mobbizante e di cambiare lavoro.

Quando non viene vissuta come una sconfitta, questa soluzione restituisce alle vittime una grande serenità interiore e un senso di liberazione. Anche se non ci sentiamo di considerarla come una strategia vincente, soprattutto perché non è applicabile a tutti i mobbizzati.

Mai si deve abbandonare il posto di lavoro, se non si ha ancora una valida alternativa di occupazione;

Malattia: un periodo di cura e di riposo può essere utile, anche perché permette di allentare la tensione psicologica e fare il punto della situazione con un po’ più di serenità.

Tuttavia un’assenza dal lavoro prolungata può aggravare le persecuzioni e rendere ancora più tesi i rapporti con l’azienda, un metodo tipico per continuare a molestare il dipendente durante le malattia, ad esempio, è l’invio eccessivo di visite medico-fiscali a domicilio, che possono ulteriormente esasperare la situazione.
Trasferimento: in alcuni casi può essere utile richiedere un trasferimento, sempre che la struttura aziendale lo consenta. A volte questa scelta si dimostra risolutiva perché si elimina l’occasione del conflitto che può essere alla base del mobbing. Se però il mobbing origina dai vertici stessi sull’azienda questa soluzione sarà ostacolata proprio per portare il dipendente alle dimissioni.
 

 

Come battere il Mobbing?

 

In un momento di profondo isolamento psicologico come è il mobbing, riuscire a parlare razionalmente con i familiari e gli amici aiuta ad acquisire consapevolezza e a creare un fronte comune contro l’aggressore.

Bisogna però stare attenti a non cadere nell’errore opposto, cioè quello di scaricare sugli altri tutti i problemi, concentrandosi sulla situazione con atteggiamento ossessivo. Questa reazione potrebbe rendere insofferenti le persone che circondano la vittima causando ulteriore solitudine e conflittualità.

 

Soggetti del Mobbing

 

E’ necessario provare a tracciare le linee guida di una strategia difensiva che, per essere efficace, deve potersi reggere su due soggetti: la persona ed il sindacato.

 

Primo soggetto : La persona

 

Punto centrale

la persona

per battere il mobbing la persona deve avere la volontà di sconfiggerlo e convincersi che ciò è possibile.

 

Per fare ciò occorre:

non chiudersi in sé stessi

convincersi che ad essere in difetto sono gli autori delle violenze psicologiche

Dare risposta a queste domande:

o        perché?

o        perché a me? 

o        perché ora?

o        quanto durerà?

o        chi sono gli altri?

o        a quali fini?

o       quale è lo scenario reale?

o        quali sono le possibili soluzioni?

o       cosa posso fare subito?

o        con quali alleati?

 

Secondo soggetto il sindacato

 

Perchè il sindacato opera nei luoghi di lavoro, lì dove il mobbing nasce e si sviluppa ed è in grado di svolgere la indispensabile azione di prevenzione del fenomeno.

 

 

 

 

 

 

 

 

Come deve operare il sindacato? Deve

 

Affermare il principio che questo fenomeno ha bisogno di un approccio assolutamente interdisciplinare: sociologia, psicologia del lavoro, medicina del lavoro, giurisprudenza – ognuna per la sua parte – possono contribuire tutte a conoscere meglio e quindi a debellare il mobbing.

 

Svolgere nei luoghi di lavoro una incessante opera di vigilanza e prevenzione, per questo è necessario che i delegati sappiano riconoscere tempestivamente i segnali di eventuali azioni mobbizanti in atto.

 

esercitare una assidua azione di informazione/formazione tra i lavoratori recuperando fino in fondo i valori fondamentali dell’unità e della solidarietà, uniche armi che da sempre i lavoratori hanno potuto contrapporre ai soprusi perpetrati nei loro confronti.

 

sviluppare una forte iniziativa per pervenire alla stipula di accordi aziendali specifici sul mobbing

 

Gli accordi devono:

sancire il diritto al ricorso da parte dei lavoratori vittime dei comportamenti mobbizanti;

 

istituire nelle aziende o negli enti organismi paritetici dotati della necessaria autorevolezza e di reali poteri di intervento;

 

favorire ed incentivare la necessaria opera di informazione sulle cause che originano il mobbing assicurando, quindi, le basi per la prevenzione del fenomeno.

 

 

Raccogliere informazioni

 

La prima cosa che la vittima deve fare è tentare di crearsi una base di elementi che potrebbero servire in futuro come prove giuridiche.

La raccolta delle informazioni e della documentazione deve essere effettuata su due argomenti principali:

-mobbing in genere: raccogliete tutto il materiale disponibile sull’argomento, per combattere contro qualcuno o qualcosa bisogna conoscere il nemico.

-ambiente di lavoro: serve per comprendere se il mobbing è una strategia perpetrata dall’azienda per liberarsi di collaboratori scomodi o se invece si tratta di un caso individuale.

 

cercare informazioni:

 

• contattare altre persone con lo stesso problema o che l’hanno avuto in passato.

• parlare con impiegati anziani o ex-dipendenti.

• valutare la presenza di comportamenti aggressivi o atteggiamenti antisindacali all’interno dell’azienda.

 

raccogliere sempre:

 

• nome della fonte.

• date degli avvenimenti.

• documenti, e-mail, appunti e qualsiasi altro materiale scritto che attesti una determinata situazione. Anche una mancata risposta ad una domanda fatta per iscritto può essere una prova della degenerazione dei rapporti.

 

facendo però attenzione a:

 

§        rispettare la privacy altrui.

§       evitare di chiedere informazioni ad amici o collaboratori stretti del mobber.

§        informazioni personali.

§        precedenti scatti di carriera, premi e promozioni.

§       tenere un vero e proprio diario delle azioni mobbizanti: prendete nota di tutti gli attacchi con date, luoghi e nomi delle persone coinvolte o presenti.

§        resoconto dei sintomi psichici e fisici.

§       Confrontare la successione delle azioni mobbizanti ed i suoi sintomi.

 

 

Denunciare il mobbing

 

Stiamo parlando dell’arma più potente che la vittima ha a disposizione nella guerra al mobbing: la denuncia.

 

Prima di arrivare a questa fase è necessario avere svolto un lavoro completo e soprattutto molto documentato relativamente alla fase della raccolta delle informazioni.

 

La denuncia può essere fatta mediante:

 

§        diffusione personale (discorso davanti ai colleghi);

§        affissione di un foglio in bacheca;

§        distribuzione di un foglio in forma di volantino.

§        intervento in un’assemblea sindacale o in una riunione;

§        l’intervento dei sindacati per aprire una vertenza;

§        l’inoltro di una protesta formale presso i superiori, seguendo le modalità e i regolamenti specifici dell’azienda (solo in casi estremi);

§        la richiesta  di pubblicare la propria storia sui giornali;

§        l’inoltro, in ultima istanza ed a prove acquisite, di un ricorso alle autorità giudiziarie o di una querela contro i persecutori.

 

La denuncia è un atto esplicito, compiuto principalmente all’interno dell’ambiente lavorativo, con il quale il mobbizzato fa i nomi dei propri persecutori, spiega in quale occasione ha subito violenza psicologica e, soprattutto, dichiara di non essere più disponibile a sostenere il ruolo della vittima.

L’importante è che la denuncia abbia queste quattro caratteristiche:

1. deve avere pubblicità sul luogo di lavoro: i vostri colleghi devono essere a conoscenza di tutto, così non correte il rischio che i vostri avversari li portino dalla loro parte facendovi passare per paranoico o per un elemento di disturbo.

2. deve essere trasparente e comprensibile: dalla vostra denuncia devono risultare fatti e date verificabili, non opinioni confuse o sfoghi emotivi. Il mobbing va rappresentato come una sequenza precisa e chiara di episodi di sopraffazione, non come un oscuro dramma psicologico fra voi e i vostri persecutori.

3. deve essere una rivendicazione di dignità: il mobbizzato dovrebbe avere ben chiaro il proprio ruolo di essere umano degno di rispetto. Non fate mea culpa, non mendicate la pietà degli altri: ammettendo di essere stato vittima di abusi morali mostratevi determinato nel rifiutare questo ruolo per il futuro.

4. deve essere un chiaro atto d’insubordinazione: i toni smorzati e le mezze frasi non vi metteranno in salvo dalle rappresaglie, quindi siate chiari. Denunciando, state compiendo un gesto di disubbidienza civile contro un sistema di regole condivise.

Dichiarate di conoscere e accettare le conseguenze di questa vostra presa di posizione. La denuncia non è il colpo di testa di un lavoratore stressato, ma parte di una battaglia finalizzata all’ eliminazione del mobbing dalla vostra azienda.

 

Perché denunciare?: il mobbing, per la persona che ne è bersaglio, è una specie di “stupro morale”. Ad esso (proprio come alla violenza sessuale) si legano sensazioni di vergogna e di violazione della soggettività profonda, conseguenze psichiche e fisiche indesiderate, incapacità di raccontare adeguatamente questa esperienza traumatica.

E’ necessario che la vittima trasformi in parole di senso compiuto le proprie emozioni:

 

§        dipendenza;

§        vergogna;

§        umiliazione;

§        insicurezza;

§        a volte autentico terrore che le agita.

 

Dietro un’azione di denuncia di questi abusi lavorativi si ha:

 

§        la volontà di non tacere.

§        La volontà di sensibilizzare gli altri.

§        Vuol dire essere un esempio per tutti e così fare del bene a tutti;

§        Vuol dire “comunicare”, cioè mettere la cosa in comune con gli altri e creare con loro un legame profondo, se voi cadrete, loro cadranno con voi; se voi resistete, loro resisteranno con voi.

 

La denuncia formale di una situazione di mobbing non deve essere uno sfogo, bensì una prima battaglia che il mobbizzato può vincere con le sue sole forza. I vostri colleghi sono “postazioni”, e con le vostre parole voi dovete “conquistarli”.


Soprattutto la denuncia è una questione di definizione. Fino a quel momento il mobbizzato accetta la definizione che gli viene fornita dai suoi persecutori (<<tu sei sbagliato>>, <<tu sei paranoico>>, <<tu non lavori bene>>). Con la denuncia invece il bersaglio di mobbing fornisce la propria definizione di se stesso e la spiegazione di tutti gli episodi avvenuti.

I colleghi e le persone dell’ufficio, abituati a pensare a quella situazione come a piccoli conflitti naturali, ora ne scoprono l’enormità e l’arbitrarietà.

Definirsi vittima del mobbing aiuta a “denormalizzare” la violenza psicologica.
Il mobbizzato che ricorre alla denuncia non deve cercare sollievo né la fine istantanea dei suoi tormenti: deve avere in mente solo la tattica che intende seguire per combattere il mobbing.

 

Le vie legali

 

 

Quando sono falliti tutti i tentativi possibili di accordo e di soluzione del problema, l’ultima via che rimane è quella legale.

 

Bisogna essere coscienti però del fatto che intraprendere le vie legali comporta un notevole dispendio di energie psico-fisiche ed economiche.
Attualmente in Italia non esiste una legge anti-mobbing; malgrado questo, sono sempre di più i lavoratori che si affidano agli strumenti del diritto. L’arma della denuncia alle autorità giudiziarie è una delle più estreme. Ma attenzione, è anche la più difficile da gestire perché impone uno sforzo emotivo e finanziario che non tutti, specie dopo un lungo periodo di mobbing, sono in grado di sopportare. Un mobbizzato, quando vuole intentare una causa contro il proprio persecutore, può fare appello tanto al diritto del lavoro quanto alla giurisprudenza civile e penale.

Un avvocato del lavoro potrà aiutarvi nei casi di licenziamenti o trasferimenti ingiusti e più in generale nei casi di bossing che si concretizzano in provvedimenti aziendali irregolari.

 

Ci sono tre articoli dello Statuto dei lavoratoti (legge n°300 del 20.05.1970) che in minima parte si adattano ai casi di mobbing:


• art. 9 “tutela della salute e dell’ integrità fisica”

• art. 15 “atti discriminatori” per motivi politici o

   religiosi

• art. 18 “reintegrazione nel posto di lavoro”, nel caso

   di ingiusto licenziamento


Il mobbizzato ha anche a disposizione strumenti legislativi, nel caso in cui la persecuzione psicologica porti a malattie professionali. Gli abusi lavorativi vengono di fatto equiparati a lesioni personali colpose.

 

• legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro

• art. 2087 del Codice Civile: obbligo del datore di

   lavoro di tutelare la salute fisica dei dipendenti.

 

Come si vede si tratta di una legislatura inadeguata e antiquata, che ha bisogno di essere aggiornata e che nei fatti si presta poco alle esigenze delle vittime di persecuzioni lavorative.

 

Nella scelta del legale bisogna stare attenti ad alcuni punti:


• prima di rivolgervi ad un legale raccogliete tutto il materiale scritto che avete a disposizione: i documenti ufficiali e ufficiosi da voi prodotti, le schede dei sintomi psicofisici e delle azioni mobbizanti ecc.

Questa documentazione servirà al legale per farsi un quadro della situazione.
• fornire il materiale raccolto in ordine cronologico.

• scegliere un avvocato che abbia già esperienza in casi simili.

• evitare studi collegati in qualche modo con l’azienda o coi datori

   di lavoro.

• accertarsi che la stessa persona segua il caso fino in fondo.

• decidere assieme gli obiettivi da raggiungere: la reintegrazione nel vostro ruolo? un trasferimento? la revoca di un trasferimento? un risarcimento? Assicuratevi di aver ben chiare le strategie.

• stabilire una cadenza degli incontri.


In caso di licenziamento con successivo reintegro in seguito a esito positivo del procedimento legale è necessario essere consapevoli che spesso le azioni persecutorie subiscono solo una battuta d’arresto, ma i problemi permangono e a volte peggiorano.
Qualche indicazione su come comportarsi in queste situazioni:


• continuare a segnalare gli abusi

• mettere al corrente più gente possibile

• cercare di rendere pubblica la situazione.

 

 

Glossario

 

 

Bossing o mobbing strategico:

 

E’ una forma di mobbing che viene usata strategicamente dalle imprese per promuovere l’allontanamento dal mondo del lavoro di soggetti in qualche modo scomodi.

Può trattarsi di soggetti appartenenti ad una gestione precedente o assegnati ad un reparto che deve essere dismesso, di soggetti divenuti troppo costosi (un senior costa di più di due contratti di formazione lavoro) o che non corrispondono più alle attese dell’organizzazione.
E’ prassi frequente nelle imprese che hanno subito ristrutturazioni, fusioni, cambiamenti che abbiano comportato un esubero di personale difficile da licenziare.

Il mobbing dunque si trasforma in una vera e propria politica aziendale, assumendo caratteri di normalità e di ineluttabilità.

La strategia dell’espulsione prende forma nell’intenzione del diretto superiore ed è mirata ad estromettere il soggetto dal processo lavorativo (sono stati riferiti casi di bossing della durata di 20 anni). L’obiettivo è quello di isolare la persona che si ritiene rappresenti una minaccia o un pericolo, bloccargli la carriera, toglierli il potere, renderlo innocuo. Nel bossing la competenza sociale e le caratteristiche di personalità del mobber e della vittima giocano un ruolo decisamente importante.

 

Bullismo (bullyng):

 

indica forme di terrorismo psicologico esercitate non esclusivamente sul posto di lavoro ma che possono avvenire a scuola, a casa, nelle carceri e in caserma; significa “comandare facendo prepotenze e tiranneggiando nei confronti dei sottoposti”; non è necessariamente intenzionale può essere provocato da conflitti di personalità e da emotività incontrollabile, la violenza può essere anche di tipo materiale sulla vittima comprendendo danni fisici, aggressioni e vandalismo.

 

Doppio mobbing:


L’energia distruttiva con cui la vittima è caricata e che trova in famiglia la possibilità di scaricarsi, può giungere ad un livello tale da comportare la saturazione delle riserve familiari. La famiglia latina, protettrice e generosa, improvvisamente cambia atteggiamento, cessando di sostenere la vittima e cominciando invece a proteggere se stessa dalla forza distruttiva del mobbing. Ciò significa che la famiglia si richiude in se stessa, per istinto di sopravvivenza, e passa sulla difensiva.

La vittima infatti è diventata una minaccia per l’integrità e la salute del nucleo familiare, che ora pensa a proteggersi prima, ed a contrattaccare poi.

Si tratta naturalmente di un processo inconscio: nessun componente sarà mai consapevole di aver cessato di aiutare il proprio caro.

E’ in questi casi che si parla di doppio mobbing, il mobbizzato perde la valvola di sfogo rappresentata dalla famiglia e quindi è praticamente accerchiato. Sono questi infatti i momenti di maggiore pericolosità per una vittima, quando cioè si sente veramente abbandonato da tutti.

CAUSE

Tra i molteplici fattori eziologici corresponsabili del mobbing, gli autori hanno evidenziato due grandi categorie: quella delle cause soggettive, che focalizza l’attenzione sui protagonisti del mobbing (vittima, aggressore); e quella delle cause oggettive, che si concentra invece sulle condizioni sociali e culturali che stanno alla base del mobbing.

 

Mobbing dall’alto :

 

Il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima: un dirigente, un capo reparto, un capoufficio, un collega di anzianità o di mansioni superiori.

Questo tipo di mobbing comprende atteggiamenti ed azioni riconducibili alla ben conosciuta tematica dell’abuso di potere, cioè dell’uso eccessivo, arbitrario o illecito del potere che un ruolo professionale implica. Il capo tradizionale, autoritario e severo, è tendenzialmente più soggetto a questa inclinazione, tuttavia sarebbe errato ritenere che il capo “amicone” ne sia immune.
Il discorso è infatti più ampio: il mobbing può insorgere in ognuno dei due casi, quando il capo usa uno di questi due stili di guida in modo non uniforme. Se infatti usa il modo di fare autoritario e un po’ dispotico con tutti i suoi sottoposti allo stesso modo, ciò non è automaticamente mobbing. Finché egli usa con tutti lo stesso metro e ognuno subisce un trattamento giustamente ripartito e conseguente a ciò che effettivamente ha fatto, egli potrà essere accusato di eccessivo zelo, ma non di mobbing. Se invece usa il modo di fare da “amicone”, ma più con qualcuno e meno con altri, cioè se mostra di fare delle preferenze, allora il mobbing non è troppo lontano.

In un primo tempo ci si è chiesti se per caso questo tipo di mobbing non derivasse dalla gerarchia organizzativa aziendale stessa, ossia se la struttura gerarchica della ditta non facilitasse o addirittura provocasse l’insorgere del mobbing dall’alto, concentrando potere e capacità decisionali nelle mani di alcuni suoi componenti a scapito di altri. Nonostante questo si è visto che snellire la gerarchia aziendale, portandola al minimo indispensabile, porta tanti vantaggi, ma non in fatto di mobbing dall’alto. Questo inquietante fenomeno infatti sembra insorgere ovunque, anche nelle aziende ad organigramma piatto. In ultima analisi, insomma, pare che se una persona fa uso sconsiderato del suo potere professionale, per quanto esso sia limitato, possa divenire con molta probabilità un mobber.

 

Mobbing dal basso o down-up:

 

Il mobber è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima.

Accade quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti, in una sorta di ammutinamento professionale generalizzato. In effetti, nelle situazioni di mobbing dal basso sono solitamente più di uno, a volte anche tutti gli operai o i colleghi di un certo reparto, che attuano una vera e propria ribellione contro il capo che non accettano.

La vittima si trova quanto mai in una condizione di isolamento totale e devastante, inoltre essendo il numero dei suoi delatori piuttosto alto, anche il suo tentativo di discolpa risulta arduo; l’ufficio del personale finirà col dare credito alla maggioranza delle voci.
Questa forma di mobbing ha radici molto simili tra le culture. I casi di mobbing dal basso sono comunque abbastanza rari; nell’area tedesca si stima che ricoprano una percentuale del 10% del totale di tutti i casi si mobbing, in Italia la percentuale è addirittura minore, infatti, se l’antipatia verso il capo è un fenomeno molto diffuso, non altrettanto si può dire dell’aperta manifestazione di questo sentimento.

 

Mobbing tra pari o orizzontale:


Il mobber e la vittima sono allo stesso livello: due colleghi con pari mansioni e possibilità.

Normalmente si assiste tra colleghi a piccole invidie, pettegolezzi, conflitti che serpeggiano sotto la superficie; anche se rivalità ed antipatie personali tra colleghi superano per aggressività ed emotività quelle tra superiori e sottoposti. La ragione di questo è che in gioco non c’è il potere formale, ma quello informale, che comprende una serie di fattori legati alla sensibilità e alla percezione individuale. Unitamente a questa ragione bisogna tenere ben presente il contesto nazionale dove se alla difficoltà di occupazione, aggiungiamo la mancanza di trasparenza nell’accesso al lavoro e nello sviluppo di carriera, si ottiene un aumento della competizione in grado di destrutturare i rapporti relazionali e quindi di facilitare il mobbing tra colleghi.

 

Molestie sessuali (job harassment):

 

La molestia sessuale è la tangente imposta a moltissime persone, in primo luogo donne, che lavorano oppure che cercano lavoro. Nel mondo, e l’Europa e l’Italia non fanno eccezione, le indagini svolte raccontano che a pagarli è un terzo delle donne occupate. Per questo, quando si parla di molestie sessuali, lo si fa al femminile.Per definire cosa debba intendersi per comportamento molesto, è sufficiente riferirsi alle disposizioni comunitarie in materia:  “Per molestia sessuale si intende ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso, che offenda la dignità degli uomini e delle donne nel mondo del lavoro, ivi inclusi atteggiamenti male accetti di tipo fisico, verbale o non verbale

 

 

 

Molestia morale (harcèlement morale): termine introdotto dalla francese Marie-France Hirigoyen, si connota per lo più come evento singolo di molestia sessuale o discriminazione razziale (azioni punibili dalla legge) sul luogo di lavoro concentrata su un soggetto debole o a rischio.


Ostilità cronica sul lavoro e aggressione aziendale: (CWHCA-Chronic Workplace Hostilites and Corporate Aggression), violenza tra parigrado (horizontal violence), amministrazione bruta (macho management), vittimizzazione (victimisation), violenza leggera (soft violence).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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