I punti salienti del Jobs Act.

Novembre 5, 2014 by admin · Comment
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i punti salienti del Jobs Act.

Ammortizzatori Sociali.
Il primo punto del testo indica come obbiettivo: “Una rete più estesa di ammortizzatori sociali rivolta in particolare ai lavoratori precari, con una garanzia del reddito per i disoccupati proporzionale alla loro anzianità contributiva e con chiare regole di condizionalità attraverso un conferimento di risorse aggiuntive a partire dal 2015″. Il testo della delega per ora prevede la riforma della Cig (cassa integrazione guadagni), che non sarà più possibile utilizzare in caso di cessazione dell’attività dell’azienda, e il cui accesso sarà previsto solo a seguito dell’utilizzo delle possibilità contrattuali di riduzione dell’orario di lavoro. Sarà rivista inoltre la durata dell’indennità (che adesso è di due anni per la cassa ordinaria e 4 per la straordinario), e una maggiore partecipazione da parte delle aziende che vi fanno ricorso. Di pari passo la legge prevede la riforma dell’Aspi (indennità di disoccupazione), che dovrebbe essere rapportata alla “pregressa storia contributiva” del lavoratore, e vedere un aumento della sua durata massima (oggi fissata a 18 mesi a partire dall’entrata in vigore delle norme vigenti nel 2016) per “le carriere contributive più rilevanti”, e la riduzione dei massimali per la contribuzione figurativa. Aspi dovrebbe inoltre trasformarsi in una sorta di “assegno di disoccupazione universale”, con l’estensione anche ai co.co.co.

Semplificazione contratti.
L’obiettivo qui è: “Una riduzione delle forme contrattuali, a partire dall’unicum italiano dei co.co.pro., favorendo la centralità del contratto di lavoro a tempo indeterminato con tutele crescenti, nella salvaguardia dei veri rapporti di collaborazione dettati da esigenze dei lavoratori o dalla natura della loro attività professionale”. Con la nuova legge dovrebbe arrivare per i neoassunti una nuova forma contrattuale, il “contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio”. L’obbiettivo del governo è farne la forma contrattuale standard, per arrivare ad un “Testo organico semplificato delle discipline delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro”. Fondamentalmente dovrebbe trattarsi di una forma contrattuale che costa meno alle aziende rispetto a quello a termine, ma che prevede l’acquisizione delle tutele garantite dalle attuali forme di contratto solo dopo un periodo di transito (per ora si parla di tre anni). Dovrebbe arrivare inoltre il salario minimo anche per i co.co.co., da introdurre anche in via sperimentale.

Incentivi all’impiego, ferie e contratti solidali.
“Servizi per l’impiego volti all’interesse nazionale invece che alle consorterie territoriali, integrando operatori pubblici, privati e del terzo settore all’interno di regole chiare e incentivanti per tutti”. La legge prevede l’istituzione di un’Agenzia nazionale per l’impiego al cui funzionamento si provvederà “con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili”. Le procedure di assunzione e gestione dei rapporti lavorativi dovrebbero inoltre essere semplificate, rendendo possibile gestire via internet tutti gli adempimenti di carattere amministrativo. Per combattere la disoccupazione il governo prevede di semplificare ed estendere l’applicazione dei contratti di solidarietà, per permettere alle aziende di aumentare l’organico riducendo orario di lavoro (/e retribuzione) del personale. Dovrebbero arrivare infine le ferie solidali, cioè la possibilità di donare il proprio surplus di ferie ad un collega che ne ha bisogno per assistere figli minori che necessitano di cure.

Articolo 18.
La modifica non è citata dalla Legge Delega, e dovrebbe essere trattata in seguito nei decreti delegati. Il testo approvato ieri comunque prevede: “Una disciplina per i licenziamenti economici che sostituisca l’incertezza e la discrezionalità di un procedimento giudiziario con la chiarezza di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità, abolendo la possibilità del reintegro. Il diritto al reintegro viene mantenuto per i licenziamenti discriminatori e per quelli ingiustificati di natura disciplinare, previa qualificazione specifica della fattispecie”. Si tratta dunque di un improvviso passo indietro, perché prevedendo il reintegro del lavoratore anche in caso di licenziamento per motivi disciplinari, Renzi lascerebbe sostanzialmente le cose come sono (la legge Fornero già prevede l’indennizzo economico in caso di licenziamento illegittimo).
FONTE: fuoricentroscampia.it

LETTERA SUL LAVORO di Pietro Ichino

Febbraio 8, 2010 by admin · Comment
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rassegna stampa
fonte - corriere della sera
Un lusso anche i contratti di serie B Nessuno pensa al Welfare dei figli

Caro Direttore, il ministro Renato Brunetta ha molta ragione quando avverte che il diritto del lavoro, e in particolare l’articolo 18 dello Statuto del 1970, oggi si applica soltanto ai padri e non ai figli. Gli italiani, però, hanno diritto di sapere che cosa il ministro propone seriamente— e non soltanto con una battuta in un talk show —per superare il regime di apartheid che penalizza la nuova generazione di lavoratori.

È vero: da anni, ormai, a un ventenne o trentenne che cerca lavoro in Italia le aziende offrono di tutto, tranne che un rapporto di lavoro regolare. E anche un rapporto di lavoro di serie B —«a progetto», o comunque a termine— è già considerato, in molte situazioni, un privilegio difficilmente ottenibile, rispetto alla «normalità», costituita dal lavoro di serie C: stage semigratuiti in azienda tutto lavoro e niente formazione, assunzione con partita Iva per mansioni d’ufficio, di cantiere, di negozio, di call center, di magazzino, che erano tradizionalmente considerate come lavoro dipendente. Case editrici in cui da anni non si assume più un redattore o un correttore di bozze con un contratto normale di lavoro dipendente; case di cura private che formalmente non hanno alle proprie dipendenze neanche un solo medico, un solo infermiere, un solo barelliere: tutti a partita Iva, oppure soci di cooperative di lavoro a cui il servizio viene appaltato.

Stessa musica nel settore pubblico, dove ormai domina sempre più diffusamente l’«esternalizzazione» delle funzioni mediante cooperative e altri appaltatori, che utilizzano ogni forma di lavoro atipico. Accade pure che dopo un periodo più o meno lungo di anticamera anche un ventenne o trentenne finisca coll’ottenere l’agognato posto di lavoro stabile regolare; ma il punto è che il datore di lavoro ha di fatto la possibilità di scegliere che il lavoratore, anche se sostanzialmente dipendente, resti escluso dalla protezione regolare per decenni. In altre parole: il diritto del lavoro sta perdendo la sua natura di standard minimo di trattamento universale, per assumere la natura di un ordinamento eminentemente derogabile: chi vuole lo applica e chi non vuole no. Naturalmente, poi, quando viene la bufera, a pagare per primi sono sempre i non protetti: i 500 mila lavoratori italiani che hanno perso il posto nei mesi passati di recessione sono ovviamente quasi tutti di serie B e C. Dunque: il ministro fa bene ad aprire gli occhi su questa realtà, a riconoscere che il nostro mercato del lavoro e il nostro sistema di protezione sociale non sono affatto «i migliori del mondo», come egli stesso ci ha detto solo pochi mesi or sono. Ma deve anche dire quale è la sua diagnosi del fenomeno e quale la terapia che propone. Una cosa è certa: il problema non è soltanto di controlli e di repressione delle frodi. Controllo e repressione servono quando la violazione o elusione delle regole è un fenomeno marginale; quando invece— come oggi accade per il nostro diritto del lavoro —violazione ed elusione diventano un fatto normale su larga scala, è l’ordinamento stesso che deve essere rifondato. La disciplina italiana del rapporto di lavoro regolare è vecchia ormai di oltre quarant’anni. È stata scritta quando non esistevano né i computer, né Internet, ma neppure i fax e le fotocopiatrici; quando era normale che un giovane entrasse in un’azienda con la prospettiva di restarci per trenta o quarant’anni svolgendo la stessa mansione, più o meno con gli stessi strumenti e le stesse tecniche. Oggi il tempo di vita di una tecnica produttiva (ma anche di un prodotto o di un materiale) non si misura più in decenni, ma in anni o addirittura in mesi; le imprese nascono e muoiono con un ritmo incomparabilmente più rapido rispetto ad allora.

Così stando le cose, la sicurezza economica e professionale dei lavoratori non può più essere affidata al modello del «posto fisso». Ed è in larga misura inevitabile che le imprese facciano di tutto per eludere, nelle nuove assunzioni, una disciplina della stabilità del lavoro, come quella dettata dall’articolo 18 dello Statuto del 1970, che condiziona lo scioglimento del rapporto di lavoro per motivi economici od organizzativi a un controllo giudiziale che può richiedere due, quattro o sei anni; e al Sud anche otto o dieci. La soluzione, allora, non è togliere l’articolo 18 ai padri, ma riscrivere il diritto del lavoro per i figli, per le nuove generazioni; in modo che esso torni capace di applicarsi davvero a tutti i rapporti che si costituiranno da qui in avanti. E garantire davvero a tutti non l’impossibile «posto fisso», ma quella protezione contro le discriminazioni e quella rete di sicurezza nel mercato, da cui oggi la nuova generazione dei lavoratori italiani è per la maggior parte esclusa.