Il silenzio di Dio
Roberto Saviano - Rassegna Stampa - Il coraggio dimenticato
-fonte-
• da La Repubblica –
Chi racconta che l´arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di criminali, chi racconta che incrementa violenza e degrado, sta dimenticando forse due episodi recentissimi ed estremamente significativi, che sono entrati nella storia della nostra Repubblica.
Le due più importanti rivolte spontanee contro le mafie, in Italia, non sono partite da italiani ma da africani.
In dieci anni è successo soltanto due volte che vi fossero, sull´onda dello sdegno e della fine della sopportazione, manifestazioni di piazza non organizzate da associazioni, sindacati, senza pullman e partiti. .
Manifestazioni spontanee.
E sono stati africani a farle.
A Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage a opera della camorra in cui vengono uccisi sei immigrati africani.
Le vittime sono tutte giovanissime, il più anziano tra loro ha poco più di trent´anni, sale la rabbia e scoppia una rivolta davanti al luogo del massacro.
La rivolta fa arrivare telecamere da ogni parte del mondo e le immagini che vengono trasmesse sono quelle di un intero popolo che ferma tutto per chiedere attenzione e giustizia.
Nei sei mesi precedenti, la camorra aveva ucciso un numero impressionante di innocenti italiani.
Ma nulla.
Nessuna protesta.
Nessuna rimostranza.
Nessun italiano scende in strada.
I pochi indignati, e tutti confinati sul piano locale, si sentono sempre più soli e senza forze.
Ma questa solitudine finalmente si rompe quando, la mattina del 19, centinaia e centinaia di donne e uomini africani occupano le strade e gridano in faccia agli italiani la loro indignazione.
Succedono incidenti. Il giorno dopo, gli africani, si faranno carico loro stessi di riparare ai danni provocati.
L´obiettivo era attirare attenzione e dire: “Non osate mai più″. Contro poche persone si può ogni tipo di violenza, ma contro un intera popolazione schierata, no.
E poi a Rosarno.
In provincia di Reggio Calabria, uno dei tanti paesini del Sud Italia a economia prevalentemente agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo cronico e le cui cosche, in questo caso le ´ndrine, fatturano cifre paragonabili al Pil del paese.
La cosca Pesce-Bellocco di Rosarno aveva deciso di riciclare il danaro della coca nell´edilizia in Belgio, a Bruxelles, dove per la presenza delle attività del Parlamento Europeo le case stavano vertiginosamente aumentando di prezzo.
L´egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due è in gravissime condizioni.
La sera stessa, centinaia di stranieri – anche loro, come i ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi – si radunano per protestare. I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 di dicembre, ovvero a due soli giorni dall´aggressione, il colpevole viene arrestato e il movente risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità degli africani.
La popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza della ´ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai accaduto negli anni precedenti.
Eppure, proprio in quel paese, una parte della società, storicamente, aveva sempre avuto il coraggio di resistere.
Ne fu esempio Peppe Valarioti, che in piazza disse: «Non ci piegheremo», riferendosi al caso in cui avesse vinto le elezioni comunali.
E quando accadde fu ucciso.
Dopo di allora il silenzio è calato nelle strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno. E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti gli italiani.
Per il pubblico internazionale risulta davvero difficile spiegarsi questo generale senso di criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi da un paese, l´Italia, che ha esportato mafia in ogni angolo della terra.
Che hanno fatto sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i loro investimenti, che hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose italiane newyorkesi, una sorta di educazione mafiosa all´estero.
Oggi, come le indagini dell´Fbi e della Dea dimostrano, chiunque voglia fare attività economico-criminali a New York che siano kosovari o giamaicani, georgiani o indiani devono necessariamente mediare con le famiglie italiane, che hanno perso prestigio ma non rispetto.
Le mafie straniere in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle italiane. Non esiste loro potere senza il consenso e la speculazione dei gruppi italiani. Basta leggere le inchieste per capire come arrivano i boss stranieri in Italia. Arrivano in aereo da Lagos o da Leopoli. Dalla Nigeria, dall´Ucraina dalla Bielorussia.
Le inchieste più importanti come quella denominata Linus e fatta dai pm Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di Napoli sulla mafia nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non arrivano sui barconi ma per aereo.
Persino i disperati che per pagarsi un viaggio e avere liquidità appena atterrano trasportano in pancia ovuli di coca.
Anche loro non arrivano sui barconi. Mai.
Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie.
Loro vivono di questa generalizzazione.
Vogliono essere gli unici partner. Se tutti gli immigrati diventano criminali, le bande criminali riusciranno a sentirsi come i loro rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo che non sia gestito da loro.
La mafia ucraina monopolizza il mercato delle badanti e degli operai edili, i nigeriani della prostituzione e della distribuzione della coca, i bulgari dell´eroina, i furti di auto di romeni e moldavi. Ma questi sono una parte minuscola delle loro comunità e sono allevate dalla criminalità italiana.
Avere un atteggiamento di chiusura e criminalizzazione aiuta le organizzazioni mafiose perché si costringe ogni migrante a relazionarsi alle mafie se da loro soltanto dipendono i documenti, le abitazioni, persino gli annunci sui giornali e l´assistenza legale.
E non si tratta di interpretare il ruolo delle “anime belle”, come direbbe qualcuno, ma di analizzare come le mafie italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità migranti.
Meno queste vengono protette dallo Stato, più divengono a loro disposizione. Il paese in cui è bello riconoscersi – insegna Altiero Spinelli padre del pensiero europeo – è quello fatto di comportamenti non di monumenti. Io so che quella parte d´Italia che si è in questi anni comportata capendo e accogliendo, è quella parte che vede nei migranti nuove speranze e nuove forze per cambiare ciò che qui non siamo riusciti a mutare.
L´Italia in cui è bello riconoscersi e che porta in sé la memoria delle persecuzioni dei propri migranti e non permetterà che questo riaccada sulla propria terra.
Sicurezza, ultima illusione
Un maledetto irrisolvibile problema idraulico. È triste dirlo, ma al 90% il problema della sicurezza non è un problema politico, ma un problema di flussi e di stock, di capienze e di velocità. Per capire come mai, bisogna mettere da parte il 10% politico del problema, su cui ovviamente ognuno ha le sue preferenze e le sue sensibilità (a me, ad esempio, non piacciono le ronde). E occorre munirsi di santa pazienza e ripassare qualche numero, senza pretese di precisione ma giusto per farci un’idea degli ordini di grandezza.
Le persone denunciate in Italia sono oltre 500 mila all’anno, ossia circa 1 cittadino su 100. Un quarto circa, quasi interamente costituito da persone con precedenti penali, viene condannato da un giudice a una pena detentiva. Ma le probabilità di scontare la pena in carcere sono minime, per un complesso di ragioni istituzionali ben spiegato dal procuratore Bruno Tinti in un suo fortunato libro (Toghe rotte, Chiarelettere). La ragione più importante, però, è di natura materiale: non ci sono abbastanza posti nelle carceri. A meno di tre anni dall’indulto (estate 2006), i detenuti sono già 20 mila più di quanti le carceri potrebbero contenerne: 62 mila persone per 43 mila posti.
Equasi 2 posti su 3 non sono occupati da persone condannate, ma da imputati in attesa di giudizio o sottoposti a misure cautelari. La conseguenza è che i pochi detenuti che effettivamente scontano una pena liberano pochissimi posti all’anno, proprio perché la loro pena è lunga (chi ha una pena breve di norma non la sconta in carcere). In poche parole: le condanne a pene detentive sono più di 100 mila all’anno, ma i posti che si liberano effettivamente sono poche migliaia.
Si potrebbe pensare che, almeno per quanto riguarda gli immigrati, una soluzione potrebbero essere i centri di permanenza temporanea (Cpt), ora ridenominati Cie (Centri di identificazione ed espulsione). A parte il fatto che un Cie non è un luogo deputato a scontare una pena, è di nuovo l’idraulica a lasciare senza speranze: con meno di 2000 posti disponibili, le persone che possono transitare nei Cie sono meno di 10 mila all’anno, e diminuiranno drasticamente con l’allungamento dei tempi massimi di permanenza da 2 a 6 mesi deciso in questi giorni. È strano che il ministro Maroni, che pure da molto tempo sta progettando di allungare i tempi di permanenza nei Cie per rendere possibili le operazioni di identificazione ed espulsione, non abbia provveduto - prima - ad almeno triplicare la loro capienza. Lì per lì non ci si pensa, ma la regola idraulica è implacabile: se il tempo di permanenza in una struttura aumenta di N volte, la sua capacità annua di accoglienza si riduce nella stessa proporzione. Se prima potevi ricevere 300 nuove persone al mese tenendole 2 mesi ciascuna, adesso puoi immetterne solo 100 al mese, perché ciascuna di esse si fermerà il triplo del tempo, ossia 6 mesi anziché 2. Insomma le stanze restano 300, ma più a lungo le si occupa meno nuove persone potranno transitarvi in un dato intervallo di tempo: se vuoi che il transito resti costante, allora devi triplicare la capienza della struttura. L’aritmetica dei flussi non lascia scampo.
Si potrebbe pensare che, comunque, un passo avanti sia stato fatto con l’accordo con la Libia, grazie al quale gli sbarchi in Italia dovrebbero diminuire drasticamente. Questo è vero, ma ancora una volta sono gli ordini di grandezza che fanno riflettere. Gli immigrati, specie se clandestini, sono indubbiamente più pericolosi degli italiani, ma occupano solo 1/3 dei posti in carcere, e soprattutto non vengono dal mare: gli ingressi con i barconi sono circa 1/7 del totale degli ingressi (o permanenze) irregolari. Il «respingimento in mare» degli stranieri è senz’altro utile, ma è solo una piccola frazione del problema della criminalità in Italia, diciamo un 5 per cento.
Ricordo queste cifre non certo per svalutare l’azione del governo, o per minimizzare il ruolo della criminalità straniera in Italia. Contrastare gli sbarchi illegali e rendere possibili le identificazioni sono provvedimenti ragionevoli, anche per il loro potere deterrente, e secondo me Maroni ha fatto bene a tenere duro su entrambi. Quello di cui dovremmo renderci conto, tuttavia, è che alla lotta contro il crimine mancano ancora i due tasselli fondamentali: una giustizia molto più efficiente, un piano di edilizia carceraria ben più incisivo di quello prospettato dal governo alcuni mesi fa (13 mila posti entro il 2012). Un calcolo prudente suggerisce che tra ristrutturazioni delle carceri esistenti (spesso indegne di un Paese civile) e costruzione di nuove carceri occorra prevedere almeno 50 mila posti aggiuntivi, con un costo che è dell’ordine di 5 miliardi di euro. Finché ciò non avverrà - ed è difficile pensare che, anche con la migliore volontà politica, occorrano meno di una decina d’anni - nessun inasprimento di pena, nessun nuovo reato, nessun giro di vite potrà produrre risultati apprezzabili. Meno che mai possiamo aspettarci miracoli dall’introduzione del reato di immigrazione clandestina, giusto ieri sancita dal voto della Camera. Anzi, il rischio è che proprio i continui annunci di misure drastiche ma materialmente inattuabili rendano ancora meno credibili le nostre istituzioni.
Ma di tutto questo ci renderemo conto, probabilmente, solo fra qualche anno. Solo allora, quando avremo assistito a un’ennesima rivolta nelle carceri, quando saremo stati costretti a varare l’ennesimo indulto o amnistia, quando avremo constatato che l’idraulica del circuito della sicurezza non permette a nessun governo, di qualsivoglia colore politico, di ottenere risultati tangibili in pochi anni, solo allora questa stagione ci apparirà in tutta la sua paradossalità. Perché quello di questi giorni, il «respingimento» dei barconi e l’approvazione del disegno di legge sulla sicurezza, è probabilmente il massimo successo mediatico del governo Berlusconi, ma potrebbe rivelarsi anche, alla lunga, la più grande illusione (l’ultima?) che il Cavaliere ha consegnato agli italiani.
• da La Stampa del 15 maggio 2009, pag. 1
di Luca Ricolfi
NAPOLI ANNO ZERO COMINCIA : Fede e politica: riflessioni dal cuore di una notte ricca di stelle…di Antonio E. Piedimonte
Filed under: napoli anno zero, prersentazione del libro "napoli anno zero"
Pensieri e ricordi dal buio che avvolge la Napoli dell’anno zero, nel bel mezzo della conflagrazione finale. Conversazione tra un giornalista e un intellettuale cristiano sulle vicende degli ultimi quindici anni all’ombra del Vesuvio (ma non solo), dalla rottura dell’unità politica dei cattolici al medioevo bassoliniano, senza dimenticare le radici degli anni Cinquanta e Sessanta ma anche le macerie lasciate dalle sei giunte guidate dal senatore comunista Maurizio Valenzi.
Un’intervista-dialogo tra Corrado Castiglione, cronista del Mattino, e Lucio Pirillo, ex presidente delle Acli e assessore comunale nel 1993-94, che è stata raccolta, insieme ad alcuni importanti contributi esterni e alla prefazione di Leoluca Orlando, nel volume Napoli anno zero (edizioni Intra Moenia), appena giunto in libreria.
Duecento pagine che aprono una preziosa finestra sul mondo cattolico, quello delle associazioni e del volontariato, ma anche sul ruolo della Chiesa partenopea.
Il curatore - che giornalisticamente nasce nel settimanale diocesano Nuova Stagione - confessa di amare Michel Houellebecq, e dunque quella singolare posizione, peraltro molto partenopea, sospesa tra il disincanto e la disperata necessità di sperare contro ogni speranza. Per questo cita un verso dellautore che è a sua volta una citazione (san Paolo):
La notte è inoltrata e il giorno si avvicina. Spogliamoci dunque dell’opera delle tenebre e indossiamo le armi della luce.
Una metafora, quella del buio, già usata dal cardinale Sepe qualche anno fa: E notte nello scenario della città (Napoli, ndr), le tenebre non lasciano comprendere
Né è dato calcolare quando giungerà l’aurora liberatrice.
E così, passando con agilità dal profeta Isaia (A che punto è la notte?) ed Eduardo De Filippo (Adda passà a nuttata ), la domanda è sulle stelle che brillano ancora, ovvero sulla speranza. Pirillo, da buon cattolico vede segni di speranza e tuttavia non ha timore di parlare delle origini del buio:
Penso che il ceto politico campano debba confessarsi in senso agostiniano: cioè riconoscere le responsabilità della sua storia di governo, alla quali risale in gran parte il mancato sviluppo culturale e civile del territorio.
Cè un filo spiega che lega destra e sinistra, il notabilato tradizionale e progessista di Gava e Valenzi fino al recente compromesso di sistema costruito da Bassolino e Iervolino.
Alcuni all’interno dello stesso Pd hanno parlato di dittatura rossa. Ed ancora: A Napoli e in Campania, come diceva in un altro secolo Antonio Gramsci, dobbiamo ancora uscire dalla prigione delle ideologie.
L’impressione è che Pirillo - da alcuni anni presidente provinciale dellUneba (unione delle istituzioni di assitenza sociale) voglia dar voce al diffuso e radicato malcontento del mondo cattolico verso le amministrazioni locali.
Di certo l’intellettuale non risparmia bordate contro la sindaca, anche se, va sottolineato, non si non si tratta di spari contro la croce rossa ma di legittimi e opportuni appunti, sempre precisi e circostanziati.
Così, dopo l’elezione della Iervolino i cattolici partecipano a questa rinuncia al contraddittorio e prosegue il pensiero unico; senza che nessuno dei tanti problemi venga avviato a soluzione:
dal dilagare delle piccole grandi illegalità al mancato sviluppo delle aree ex industriali dismesse da Bagnoli a Napoli Est.
Mentre cresce il silenzio della Chiesa (tranne rare eccezioni come la lettera dei parroci di Secondigliano) e, soprattutto, mentre intorno gli imprenditori e la cosiddetta società civile (dai liberi professionisti ai docenti universitari) cercano di non disturbare il manovratore.
Anche perché cresce un altro fenomeno, che diventa palpabile con la rosa di consulenze, contributi e prebende varie.
Il libro, dopo una sezione fotografica (che appare eccessiva), offre poi alcuni importanti contributi, come la lettera sulla miseria del cardinale Corrado Ursi, i ricordi di padre Vincenzo Perna e
Marta Losito (la docente morta l’anno scorso), le testimonianze di Ludmila Mandlova (sulla Primavera di Praga) e Mario Cercola (sulle Quattro giornate), il documento anticamorra dei vescovi campani nel 1982, le parole di Giovanni Paolo II a Napoli, l’omelia del cardinale Sepe al suo ingresso in diocesi, l’omelia di Benedetto XVI in piazza Plebiscito.
E, soprattutto, quattro articoli firmati da Luigi Maria Pignatelli (giornalista, teologo, missionario), uno dei quali, quello scritto dopo la strage di Torre Annunziata, si chiudeva così:
I camorristi di Stato hanno difeso con i denti le posizioni acquisite. Torre Annunziata è il frutto, uno dei tanti frutti nefasti, della camorra pubblica.
Era il 6 settembre 1984.
L’anno zero a volte sembra davvero non finire mai.
Antonio E. Piedimonte
fonte
il corriere del mezzogiorno
OGGI ALLA FELTRINELLI ore 18 : NAPOLI ANNO ZERO
Filed under: napoli anno zero, prersentazione del libro "napoli anno zero"
Conversazione metropolitana con L. Pirillo, Napoli anno zero.
Cattolici e politica dal ’68 ai giorni della spazzatura, a cura di
C. Castiglione, Intra Moenia, Napoli 2009, pp. 212, euro 12.00
La conversazione, a cura del giornalista C. Castiglione, lungo il tragitto della metropolitana di Napoli da Piazza Dante a Scampia per uscire alla luce del sole dal tunnel metaforicamente attraversato, è un contributo alla storia di Napoli sotto il profilo del rapporto tra cattolici e politica in questa città secondo l’esperienza di L. Pirillo un cattolico eletto per la prima volta al Consiglio Comunale in una formazione politica che non fosse la DC, cioè la Rete, ed assessore nel periodo 1993-1994.
E successivamente impegnato in incarichi rappresentativi nelle ACLI, nel sindacato e nell’UNEBA (Unione nazionale istituzioni e iniziative di assistenza sociale).
La lunga intervista tra le stazioni della nuova linea della metropolitana napoletana, nota con il nome di metrò dell’arte per le numerose opere di artisti contemporanei che ne adornano i corridoi, attraversa gli ultimi sedici anni di storia politica a Napoli ed in Campania, dalla rottura dell’unità politica dei cattolici nel ’93, alla ricostruzione della memoria storica, che affonda le radici negli anni Sessanta e più indietro ancora nel secondo lustro degli anni Cinquanta,
con una minuta evocazione di chi c’era, dove stava e con chi.
Nell’intento di una ridefinizione della “questione cattolica” a Napoli ma non solo ieri, oggi e per domani. Il punto di partenza è la breve partecipazione di Pirillo alla prima giunta Bassolino, sindaco che aveva destato grandi speranze di progresso e modernizzazione con lo sbandierato ”Rinascimento”, e quindi il cammino si snoda di fronte alle emergenze nuove e quelle croniche del territorio, tra rinascimento e medioevo, tra politiche di welfare e sviluppo sostenibile, tra questione morale, società civile e classe dirigente.
Fino all’esaurirsi della spinta propulsiva di quella stagione per fattori storico-politici che sono individuati nel tragittto della ricostruzione ed ai giorni bui della spazzatura che invadeva strade e piazze della città.
Quindi un cammino per trovare il bandolo della matassa, un complesso di ragioni che lascino intravedere il sole dopo il buio iniziale della stazione di Dante, quando sulla strada per Scampia la vettura uscirà allo scoperto sul viadotto che da Colli Aminei conduce a Piscinola-Secondigliano.
La conversazione è divisa in cinque parti, chiamate frammenti.
Ciascun frammento si apre con una nota introduttiva del curatore e si chiude con un promemoria che si propone in maniera cronologica di indicare le linee essenziali del rapporto fra cattolici e politica a Napoli in particolare negli ultimi sedici anni con richiami agli ultimi cinquant’anni.
Un’appendice raccoglie prevalentemente documenti ecclesiali significativi del periodo analizzato, che insieme al corpo del volume costituisce materiale prezioso per approfondimenti della storia del rapporto tra cattolici e politica a partire anche da esperienze personali
Un viaggio nella memoria ed a futura memoria specialmente per le giovani generazioni, che è più di un’ autobiografia per la documentazione accurata ed oggettivazione dei fatti evocati nell’ intreccio di intervista e cronologia dei vari periodi attraversati della storia politica e religiosa della città di Napoli.
Rimane una testimonianza dell’impegno laicale in politica che non viene meno ma deve trovare nuove strade nell’agone politico in considerazione del cambiamento degli scenari politici e dell’urgenza di un ricominciamento nella situazione napoletana per vedere la luce del sole.
Domenico Pizzuti s.j.
Alla Libreria Feltrinelli:NAPOLI ANNO ZERO Giovedì 14 maggio 2009 – ore 18
la Feltrinelli Librerie – Via San Tommaso d’Aquino 70
Presentazione del volume
Napoli anno zero
Cattolici e politica dal ‘68 ai giorni della spazzatura
conversazione metropolitana con Lucio Pirillo
a cura di Corrado Castiglione
Intervengono
Luciano Scateni / Giornalista
Giuseppe Acocella / Ordinario di Etica sociale e vice-presidente del Cnel
Domenico Pizzuti / Docente di Sociologia
edizioni Intra Moenia
P.S.
Santa Di Salvo –fonte-
Il Mattino-
“Castiglione e Pirillo fanno sempre nomi e cognomi, l’analisi è impietosa e perciò particolarmente efficace.
Nel diluvio di testi su Napoli, questo libro colpisce al cuore perchè riesce ad essere tagliente e persino feroce nell’apparente mitezza di tono.
«Penso che il ceto politico campano debba confessarsi nel senso agostiniano - dice Pirillo - Cioè riconoscere le responsabilità della sua storia di governo, alle quali risale gran parte del mancato sviluppo culturale e civile della città. ”
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(NAPOLI ANNO ZERO)—I cancelli sbarrati dell´Eden: «Proteggiamoci»
RASSEGNA STAMPA
fonte-
D. D. P. da la Repubblica Napoli
Il paradiso violato dentro le sue mura. Una volta ancora, dopo il massacro della Gaiola, il quartiere dei vip affacciato sul mare si ritrova agitato dall´incubo che da anni toglie il sonno solo alle famiglie del nord d´Italia Una paura, quella delle rapine in casa o nelle ville isolate, che sembrava non appartenere alle nostre strade.
Almeno questa, fra mille emergenze, sembrava destinata ad altri luoghi.
È arrivata anche qui da noi, invece, Lo aveva fatto capire tragicamente il mattatoio lasciato nella villa dei coniugi Ambrosio dalla banda di rumeni che aveva infierito sulla coppia senza preoccuparsi di lasciare tracce di ogni tipo.
E lo conferma la scena di Salvatore D´Angelo legato con una cintura e imbavagliato nella casa di 40 metri quadri dove quest´uomo di 78 anni viveva solo, accudito dai nipoti, e dove è stato trovato ieri ormai in fin di vita.
Enzo Assorgi, il vicino che ha aiutato il personale del 118 ad adagiare l´anziano sulla barella prima del viaggio verso l´ospedale, lo ricorda già incosciente. «Sono ancora traumatizzato, sotto choc - dice - non avevo mai visto una persona ridotta in condizioni simili. Aveva il volto tumefatto, si lamentava. Ho provato a chiedergli qualcosa, non ricordo neppure le parole. Avrò detto “Don Salvatore, è venuto qualcuno?”. Ma non ha risposto, ha solo farfugliato».
Vive qui da dieci anni, Enzo. «E fino a oggi non era mai accaduto nulla di simile.
A questo punto dobbiamo pensare a trovare un sistema per proteggere meglio le case. È arrivato il momento di pensare a un cancello». Accanto a lui annuisce Raffaele Cucci, che aggiunge: «È evidente che un episodio tanto grave ci spaventa. Qui ci siamo sempre sentiti sereni, tranquilli. Certo, gli episodi di piccola criminalità si sono sempre verificati, sappiamo che la città è piena di problemi di questo tipo.
Ma in casa no, in casa non era mai accaduto». Poi, nello spazio di un mese, prima l´assassinio dell´imprenditore Franco Ambrosio e della moglie commesso nella villa della Gaiola da una banda di romeni, e oggi l´assalto al piccolo appartamento di Salvatore al quale si accede da una stretta traversa privata di via Marechiaro, scendendo i gradini di una scala che termina proprio a ridosso del cancello d´ingresso.
Ma l´abitazione è anche esposta attraverso il giardino alla terra di nessuno dalla quale, è una delle ipotesi alle quali lavorano gli investigatori, potrebbero essere arrivati gli aggressori. «Pensare a un delitto così grave accaduto a cinque metri da casa mia mi allarma - afferma Raffaele Cucci - dobbiamo barricarci meglio, se necessario anche con le telecamere». Molti hanno già fatto questo passo e lungo via Marechiaro i cartelli con l´indicazione “zona videosorvegliata” si sprecano.
Ma in realtà, spiega Massimo, che abita al primo piano e si affaccia dalla finestra protetta da una robusta inferriata, «qui d´inverno è quasi sempre deserto. D´estate, invece, Marechiaro si popola e arriva di tutto. Le rapine ci sono sempre state, a poca distanza da qui ne fece le spese anche un calciatore del Napoli, il giovane Andrea Russotto».
Un senso di insicurezza sempre più profondo si sta impadronendo progressivamente di una parte di città che si era sentita a lungo convinta di essere lontana dal caos e dalle insidie della metropoli.
Dunque non sorprende il boom delle richieste di contratti con istituti di vigilanza privata che da mesi ormai si registra in tutta la zona residenziale del quartiere Posillipo. E se la tragica fine dei coniugi Ambrosio era stata accolta come la prima folata di un vento che sembra cominciare a soffiare in senso contrario, questo nuovo, drammatico, episodio suona come l´inizio di una tempesta dalle conseguenze imprevedibili e non basta chiudersi in casa per sentirsi protetti.
RIFIUTI:TOMMASO SODANO, PAROLE PM DE CHIARA MI LASCIANO ATTONITO
MESSA IN DISCUSSIONE L’AUTONOMIA DEL POTERE GIUDIZIARIO
NAPOLI
- “Dopo aver assistito all’inaugurazione in pompa magna dell’inceneritore di Acerra, alla presenza del procuratore di Napoli Giandomenico Lepore, dove i vertici dell’Impregilo inquisiti sono stati definiti dal capo del Governo, Berlusconi, ‘eroi, ostacolati da qualcuno che pero’ hanno tenuto durò, adesso le parole del procuratore aggiunto De Chiara ci lasciano attoniti”.
Lo afferma il candidato alla presidenza della Provincia di Napoli, Tommaso Sodano.
“La lettera del procuratore aggiunto Aldo De Chiara al Csm - spiega Sodano - che amaramente chiarisce le motivazioni del superprocuratore sullo stralcio delle posizioni del prefetto Alessandro Pansa e dei commissari ai rifiuti Guido Bertolaso e Corrado Catenacci (’per non ostacolare il Governò, ‘per non turbare un esecutivo impegnato nella risoluzione dell’emergenza rifiutì) ci lascia attoniti - attacca Sodano -. Parole, quelle di De Chiara, che mettono in discussione, in Campania, l’autonomia del potere giudiziario rispetto alla politica e l’obbligatorietà dell’azione penale.
Siamo all’emergenza democratica”. “In una regione ad alta concentrazione di reati camorristici - osserva Sodano - e in cui fioccano inchieste sulla pubblica amministrazione che hanno evidenziato l’intreccio politico - camorristico - imprenditoriale, l’inchiesta ‘Rompiballe’ - spiega Sodano - sta evidenziando la piena consapevolezza dell’illegalità nelle istituzioni pubbliche e nelle imprese private impiegate nel trattamento dei rifiuti in Campania. Solo adesso, dunque, sta venendo a galla tutta la verità sul disastro ambientale di Acerra e nelle cave di Chiaiano”.
fonte-ANSA - NAPOLI, 10 MAG -
IMMIGRATI: VESCOVI E CENTROSINISTRA, ”MURO” SUI RESPINGIMENTI
In attesa della fiducia al governo sul disegno di legge sulla sicurezza che sara’ votata dalla Camera mercoledi’, seguita giovedi’ dalle dichiarazioni di voto e dall’approvazione finale, e’ il tema immigrazione a occupare il centro del dibattito politico.
In particolare, continua la polemica sulla frase pronunciata dal premier Silvio Berlusconi sabato scorso a proposito della linea del governo di non favorire ”l’idea di un’Italia multietnica” che invece piacerebbe alla sinistra.
Come era gia’ capitato nei giorni scorsi su altre questioni riguardanti la politica migratoria, a reagire e’ anche il Vaticano. Monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, precisa che ”l’Italia multietnica e multiculturale e’ un valore ed esiste gia’ di fatto”. Il problema, fa presente, e’ semmai porsi il problema di come ”non cancellare l’identita’ di ciascuno ma nemmeno teorizzare un’irreale parificazione che e’ cosa diversa dall’eguaglianza”.
Malgrado la posizione della Cei, non ci sono ripensamenti da parte del governo sia sul contenuto del pacchetto sicurezza sulle norme riguardanti l’immigrazione sia sulla ”linea del respingimento” dei clandestini che cercano di approdare a Lampedusa, come l’ha definita il ministro Roberto Maroni.
Il responsabile del dicastero degli Interni fa notare che grazie agli accordi con la Libia sono stati respinti in pochi giorni ben 500 immigrati clandestini e che questa continuera’ ad essere la scelta del governo in ottemperanza alle norme internazionali.
Pdl e Lega, che polemizzano tra loro sul problema del referendum sulla legge elettorale del 21 giugno, sono compatti sulla politica anti-immigratioria. Roberto Calderoli, ministro leghista della Semplificazione legislativa, tra i piu’ polemici sull’appuntamento referendario di cui chiede il boicottaggio, se la cava con una battuta: ”Berlusconi si e’ pontidizzato, dovremmo dargli la tessera della Lega”.
Un apprezzamento sulla fermezza del governo viene pure da Ignazio La Russa, ministro della Difesa, capolista del Pdl nella circoscrizione nord-ovest: ”La tesi di difendere l’identita’ italiana una volta eravamo in pochi a sostenerla, ora con le parole del presidente del Consiglio siamo la maggioranza”.
Dall’opposizione si attacca invece una politica governativa che rischierebbe di diventare addirittura razzista. ”Di questo passo in Italia non faremo entrare neanche il presidente Obama”, ironizza Antonio Di Pietro, leader dell’Idv.
”Penso che chi guida il nostro paese non debba fare demagogie o compiacere la Lega ma risolvere i problemi. Dire no a una societa’ multietnica significa ottenere un risultato: chiudere le nostre fabbriche, non avere collaborazione per i nostri anziani, delineare una societa’ che non esiste”, polemizza Pier Ferdinando Casini, Udc.
Dario Franceschini, segretario del Pd, sceglie un’altra argomentazione polemica: ”Il respingimento dei clandestini viene usato dal governo per far scomparire dalle pagine dei giornali altre vicende come la crisi economica, per far spostare i riflettori dalle vicende personali di Berlusconi e dalle vicende politiche del governo”.
E’ Umberto Bossi, ministro per le Riforme istituzionali e leader storico del Carroccio, a replicare sostenendo che l’attuale governo non sta facendo altro che ”applicare gli accordi internazionali sottoscritti dagli esecutivi di centrosinistra”.
Una precisazione viene pure da Franco Frattini, ministro degli Esteri: ”In Italia e in Europa si entra solo rispettando la legge. Le motovedette non hanno la facolta’ ma il dovere, per conto dell’Unione europea, di intercettare chi non ha ancora oltrepassato i confini europei”.
Una posizione peculiare sul fronte dell’opposizione e’ quella di Piero Fassino, Pd, che da’ ragione al ministro Frattini sul punto dei doveri internazionali dell’Italia. In una intervista al ”Corriere della Sera” di ieri ha infatti precisato: ”Io come esponente del governo Prodi tra il ‘96 e il ‘98 ho firmato decine di accordi di riammissione con i Paesi dei Balcani e del Mediterraneo, che prevedono il diritto dell’Italia di rimpatriare nei paesi da cui erano venuti i clandestini e l’obbligo di questi paesi di riprenderli”.
L’ex ministro dei governi Prodi aggiunge di comprendere la posizione della Chiesa, ma precisa che chi e’ al governo deve applicare le leggi. Il dissenso di Fassino rispetto alla linea di Pdl e Lega non e’ tanto sui cosiddetti respingimenti quanto piuttosto sulla prospettiva dell’Italia come societa’ multietnica: ”Prendiamo atto con onesta’ che l’Italia, come lo sono gia’ Francia e Germania, diventera’ un paese multietnico”.
fonte
asca
SALTARE IL LUNEDI’E……
« Certo chi comanda
non è disposto a fare distinzioni poetiche:
il pensiero è come l’oceano,
non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare. »
(Lucio Dalla, Come è profondo il mare)
« …Ma se la luce scende, il mio cuore rimane lì
Se c’è un pensiero che l’accende è saltare il lunedì. »
(Lucio Dalla, Lunedì, 2007)
CIAO PEPPE